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Num. 28 del 10 ottobre 2008

Focus: Papa Benedetto XVI in visita al Quirinale

LE COMUNITA’ CRISTIANE FORMINO PERSONE E CITTADINI”

Il Papa Benedetto XVI, in occasione della visita al palazzo del Quirinale, ha rilasciato un discorso scritto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano. “E con vero piacere- scrive il Papa- che varco nuovamente la soglia di questo palazzo, dove sono stato accolto per la prima volta a poche settimane dall'inizio del mio ministero di Vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale. Entro in questa Sua residenza ufficiale, Signor Presidente, simbolica casa di tutti gli italiani, con memore gratitudine per la cortese visita che Ella ha voluto rendermi nel novembre 2006 in Vaticano, subito dopo la Sua elezione alla Suprema Magistratura della Repubblica Italiana”. Un’analisi approfondita, quella del Pontefice, in vista della sua visita che non si è ridotta nel contesto delle semplici relazioni fra la Santa Sede e l’Italia “ma assume, potremmo dire, un valore ben più profondo e simbolico. Qui, infatti, vari miei Predecessori vissero e da qui governarono la Chiesa universale per oltre due secoli, sperimentando anche prove e persecuzioni, come fu per i Pontefici Pio VI e Pio VII, entrambi strappati con violenza alla loro sede episcopale e trascinati in esilio. Il Quirinale, che nel corso dei secoli è stato testimone di tante liete e di alcune tristi pagine di storia del Papato, conserva molti segni della promozione dell'arte e della cultura da parte dei Sommi Pontefici”.

Un’analisi storica sostenuta da Benedetto XVI che pone il palazzo del Quirinale come emblema di traguardi e controversie. “ In un certo momento della storia- ha continuato il Pontefice- questo palazzo diventò quasi un segno di contraddizione, quando, da una parte, l'Italia anelava a comporsi in uno Stato unitario e, dall'altra, la Santa Sede era preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale. Un contrasto durato alcuni decenni, che fu causa di sofferenza per coloro che sinceramente amavano e la Patria e la Chiesa. Mi riferisco alla complessa "questione romana", composta in modo definitivo e irrevocabile da parte della Santa Sede con la firma dei Patti Lateranensi, l'11 febbraio del 1929. Sul finire del 1939, a dieci anni dal Trattato Lateranense, avvenne la prima visita compiuta da un Pontefice al Quirinale dopo il 1870. In quella circostanza, il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII, del quale ricordiamo in questo mese il 50° della morte, così ebbe ad esprimersi con immagini quasi poetiche: "Il Vaticano e il Quirinale, che il Tevere divide, sono riuniti dal vincolo della pace coi ricordi della religione dei padri e degli avi. Le onde tiberine hanno travolto e sepolto nei gorghi del Tirreno i torbidi flutti del passato e fatto rifiorire le sue sponde dei rami d'olivo" (Discorso del 28 dicembre 1939)”.

Oggi, invece, si può affermare con soddisfazione che nella città di Roma convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente lo Stato Italiano e la Sede Apostolica. “Anche questa mia visita sta a confermare che il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale. E' questa – mi piace ribadirlo - una positiva realtà verificabile quasi quotidianamente a diversi livelli, e alla quale anche altri Stati possono guardare per trarne utili insegnamenti”. Un auspicio di collaborazione e di reciproco rispetto, un invito chiaro e sintetico che ha richiamato e deve richiamare l’attenzione di tutta la classe politica. “Signor Presidente, mi piace qui rinnovare l'auspicio che le comunità cristiane e le molteplici realtà ecclesiali italiane sappiano formare le persone, in modo speciale i giovani, anche come cittadini responsabili ed impegnati nella vita civile.- ha concluso il Papa- Sono certo che i Pastori e i fedeli continueranno a dare il loro importante contributo per costruire, anche in questi momenti di incertezza economica e sociale, il bene comune del Paese, come pure dell'Europa e dell'intera famiglia umana, prestando particolare attenzione verso i poveri e gli emarginati, i giovani in cerca di occupazione e chi è senza lavoro, le famiglie e gli anziani che con fatica e impegno hanno costruito il nostro presente e meritano per questo la gratitudine di tutti. Mi auguro altresì che l'apporto della Comunità cattolica venga da tutti accolto con lo stesso spirito di disponibilità con il quale viene offerto. Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo. Ciò sarà ancor più agevole se mai verrà dimenticato che tutte le componenti della società devono impegnarsi, con rispetto reciproco, a conseguire nella comunità quel vero bene dell'uomo di cui i cuori e le menti della gente italiana, nutriti da venti secoli di cultura impregnata di Cristianesimo, sono ben consapevoli. Signor Presidente, da questo luogo così significativo, voglio rinnovare l'espressione del mio affetto, anzi della mia predilezione per questa amata Nazione. Per Lei e per tutti gli italiani e le italiane assicuro la mia preghiera, invocando la materna protezione di Maria, venerata con tanta devozione in ogni angolo della Penisola e delle Isole, dal nord al sud, come ho modo di costatare anche in occasione delle mie visite pastorali. Nel congedarmi, faccio mia l'esortazione che con accenti poetici il Beato Giovanni XXIII, pellegrino ad Assisi alla vigilia del Concilio Vaticano II, indirizzò all'Italia: "Tu, Italia diletta, alle cui sponde venne a fermarsi la barca di Pietro - e per questo motivo, primieramente, da tutti i lidi vengono a te, che sai accoglierle con sommo rispetto e amore, le genti tutte dell'universo - possa tu custodire il testamento sacro, che ti impegna in faccia al cielo e alla terra" (Discorso del 4 ottobre 1962)”.

Antonio Degl’Innocenti