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Num. 2 del 24 febbraio 2006

Editoriale: Cristiani in politica: un "oggi" che esige identita'

Identità e dialogo sono, da sempre, i due "corni" del problema che accompagna l'impegno dei cristiani nella città dell'uomo.
Da un lato è vero che queste polarità sono bilanciabili e non necessariamente esclusive; dall'altro però la loro virtuosa combinazione non la si può determinare, in modo astratto e statico, una volta per tutte. Il contesto del loro possibile bilanciamento non riguarda tanto il cielo immutabile della metafisica quanto il sofferto orizzonte dell'immersione quotidiana nella storia.
Si può dunque affermare che esiste un "oggi", concretissimo e temporale, in cui portare al possibile compimento la sintesi tra identità e dialogo.
E' nostra opinione che l'oggi dei cristiani impegnati nel sociale ed in politica esiga una previa e decisa sottolineatura delle questioni identitarie. Dinanzi ad un'imperante cultura che decanta le medie-mediate; mitizza il politicamente corretto; esalta la bellezza del dubbio e bolla come integralismo fanatico ogni riferimento alla verità; porta avanti un genericissimo irenismo in cui le religioni perdono la spina dorsale i cristiani che hanno davvero a cuore la difesa e la promozione del patrimonio storico e profetico della loro tradizione non possono fare sconti.
Molti vorrebbero che la dizione dei nostri contenuti identitari fosse fatta sottovoce, quasi in punta di piedi, rispettando il galateo della buona società internazionale. Noi, invece, siamo tra quelli che credono, evangelicamente, al linguaggio dei sì e dei no o, per dirla con il laico Mazzini, sono convinti che la verità vada urlata dai tetti.
E' per questo che ci sentiamo di dar ragione a tutti coloro che, sia a livello europeo che nazionale, pretendono una riflessione non formale e di maniera sul tema delle radici cristiane. Non si tratta di una forzatura ideologica o, peggio, di una mera provocazione; siamo piuttosto nell' ambito della traduzione nel campo dell'agire politico di una responsabilità che i cristiani non possono non assumere.

Franco Banchi

Il punto: Lo spazio per il Partito Popolare Europeo oggi in Italia esiste e raggiunge la metà dell'elettorato

L'intervento di Pietro De Marco, docente di Sociologia delle religioni e di Sistemi religiosi comparati all'Università di Firenze, comparso sul primo numero del nostro giornale settimanale (Il RapportoItalia2006 dell'Eurispes. Un popolo cristiano tra fedeltà e disobbedienza?), assume un interesse straordinario per il nostro progetto di costituzione del PPE sia in Toscana che in Italia, a partire dal basso; e quindi ce ne sembra doverosa una breve nota di commento. Le osservazioni che seguono paiono tanto più obbligate dalla serietà di De Marco, il quale è certamente studioso ed intellettuale cattolico - e senza dubbio fra i più coerenti ed autorevoli in Italia -, ma parimenti si tiene le mani libere da precise appartenenze politiche e partitiche (del che, allo stato attuale, non sapremmo come fargliene una gran colpa).
Dunque Pietro De Marco prende in esame alcuni dati del recente rapporto Eurispes (cfr. "La Stampa" di Torino 18.01.2006), e segnatamente:
a) l'87.8 degli italiani si dichiara "cattolico credente";
b) fra questi, sulla base di ricerche precedenti e tuttora valide, si devono distinguono due grandi gruppi, ovvero gli appartenenti alla cosiddetta "religione di chiesa" e alla "religione diffusa", in base alla maggiore o minore conformità all'insegnamento della Chiesa;
c) la "religione di chiesa", integrata dall'area della religione diffusa primaria, con caratteristiche prossime alla prima, raggiunge il 48,5 %, tanto che De Marco conclude: "il confine del 50% (con rilevanti oscillazioni) resta, a mio parere, un migliore punto di riferimento per l'analisi". Dunque, i cattolici italiani coscienti di una tale denominazione e delle sue conseguenze sono da considerarsi il 50 % circa della popolazione italiana.
d) Circa quelle "oscillazioni", De Marco dà due esempi. In rapporto alle questioni di bioetica, il 51,5% si dichiara favorevole all'intervento pubblico della Chiesa; in rapporto alle questioni socio-politiche, la percentuale scende di un paio di punti. In ogni caso, ribadisce De Marco, "persiste un nucleo di opinione pubblica favorevole attorno al 50%", s'intende favorevole all'insegnamento della Chiesa.
A questo punto, la rilevanza dell'analisi di De Marco per il nostro progetto politico è chiarissima. Se un nucleo formato dal 50% degli italiani, pur con qualche problematicità - legata del resto alla difficoltà dei temi - si dichiara favorevole all'intervento e quindi all'insegnamento della Chiesa in materia sociale, ne risulta con ogni evidenza che un partito che fondi la propria azione sul medesimo insegnamento sociale della Chiesa ha davanti a sè uno spazio politico virtualmente pari, appunto, al 50% dell'elettorato.
Dunque il progetto della costruzione nel nostro Paese di un partito ispirato al PPE non solo è desiderabile da un punto di vista ideale, ma per di più, sulla base di una autorevolissima analisi sociologica, dimostra anche di essere realizzabile nelle attuali condizioni della società italiana.
Che poi una opportunità del genere sia davvero possibile realizzarla oggi è un altro discorso, su cui già abbiamo detto qualcosa in altra sede (cfr. la sezione "Documenti", opuscolo dell'agosto 2005) e su cui torneremo, ma di cui possiamo sinteticamente affermare che essa è una questione di uomini. Parafrasando Fichte, la politica che si fa dipende dagli uomini che si è, e dagli uomini che ci sono in circolazione.
Quello che non riteniamo più possibile è che, da più parti, e magari anche da parte di qualche settore della gerarchia ecclesiastica, forse di qualche regione rossa, si continui - per motivi tattici - a sostenere che ormai, "purtroppo", un grande partito di cattolici (ma certo anche laico e aconfessionale) non è più possibile. L'analisi del sociologo De Marco dimostra semmai tutto il contrario, e con tanto di elementi scientificamente argomentati.

Andrea Poli

L'intervento: Dialogo ecumenico e franchezza cristiana.

A pochi giorni dallo scambio di rette parole e di ottimi sentimenti che caratterizza la Settimana per l'unità dei cristiani può apparire inopportuno esprimere senza mezzi termini un dissenso dalle posizioni pubbliche una comunità evangelica italiana. Senonchè, il sito www.olir.it (preziosa concentrazione di documenti e studi, a cura di un gruppo di ecclesiasticisti e canonisti italiani di prestigio) ha reso disponibile (30.1.2006) un documento della Tavola valdese dedicato a Laicità e bioetica, nel quadro di una più ampia cautio pre-elettorale della Tavola sui "corretti rapporti tra stato e istituzioni religiose".
Non senza aver auspicato per l'immediato futuro una diversa composizione ("un maggiore ventaglio di opinioni") del Comitato Nazionale di Bioetica, il documento argomenta a favore della libertà di formazione del "libero convincimento di ognuno" contro la richiesta, rivolta da parte della Chiesa cattolica (non nominata, ma palesemente in questione) alla politica, di "limitare le scelte personali o tradurre in testi legislativi criteri particolari ad un determinato culto (!)". Prosegue affermando che si tenterebbe di "forzare nella difesa assoluta dell'embrione ogni legge o disposizione statale", mettendo "in secondo piano le capacità razionali ed etiche di soggetti adulti", mentre non sarebbe compito dello stato "sollevare" il cittadino dalle sue "responsabilità etiche", scegliendo al suo posto ed esercitando su di lui una "tutela". Riconosce il documento che il dibattito pubblico dovrà proseguire, comunque, "con l'apporto di punti di vista maturati in seguito a convinzioni profonde (!) di ordine culturale e religioso" (sottolineatura mia), e termina assumendo che una prospettiva cristiana, nel porsi "di fronte alle contraddizioni" del mondo, deve preferire "un'etica moderatamente ottimista" alla "negatività disfattista e cinica" (?). Termina indicando nella pace e nella giustizia lo "scopo dell'umanità tutta"; alla loro possibilità l'uomo deve essere motivato a credere.
Niente di nuovo in queste raccomandazioni; specialmente niente di diverso da quanto capita di vedere quotidianamente argomentato dall'opinione "laica" (possiamo sentirle complementari alle colonne polemiche di Miriam Mafai, sulla Repubblica di oggi, 31.1.2006). Colpisce che la Tavola valdese pensi che una legislazione che protegge i diritti del concepito sollevi il cittadino dalla sue responsabilità etiche, quando (certamente) nessun membro della Tavola riterrebbe un vulnus alla propria libertà e responsabilità l'esistenza di norme rivolte a tutelare la persona da danni anche di sottile definizione, quali ad es. i danni esistenziali o biologici. La Norma che tutela (e conseguentemente vieta) non "mette in secondo piano le capacità razionali ed etiche di soggetti adulti", ma assolve alla propria funzione, essenziale e originaria, dell'ordinare tali capacità secondo il giusto. Ed è difficile (per dei cristiani impossibile, credo) affermare che la tutela dell'embrione umano non sia sotto il segno della Giustizia. Colpisce, allora (anzi ferisce cristianamente, come una insidiosa consequenzialità), che il documento della Tavola assimili i fondamenti dell'antropologia cristiana, che (unica) pone e fonda ontologicamente la dignità della persona, a dei "criteri particolari ad un determinato culto". L'antropologia costitutiva dell'Occidente, e in ciò che ha di massimamente valido, non può essere ritenuta la credenza di un culto, svuotata di ogni significato e autorità per l'uomo esterno a quel "culto", quindi di ogni universalità.
È doveroso allora, entro la fraternità ecumenica, ricordare che un portato, tra i principali e irrinunciabili, che caratterizza la catholica è la testimonianza di un sapere sull'uomo, senza il quale anche le battaglie per l'uomo possono mutarsi, e si mutano, in magna latrocinia. "Ottimismo" cristiano è questo coraggio affermativo; e la obiettiva difesa dell'Innocente è azione dovuta alla Giustizia, quella giustizia che "le capacità razionali ed etiche dei soggetti adulti" (di cui l'antropologia cristiana conosce i limiti) quotidianamente e su ogni terreno calpestano.

Pietro De Marco