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Num. 11 del 5 maggio 2006

Editoriale: SINDACALISTI (E IMPRENDITORI) AI VERTICI DELLE ISTITUZIONI

L'elezione di Franco Marini e Fausto Bertinotti alle Presidenze del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, ossia alla seconda e alla terza carica dello Stato, al di là degli aspetti politici o politologici, si presta ad una considerazione che è già stata avanzata da molti commentatori, ma in misura decisamente parziale e per così dire esterna.
Le due personalità sono dotate di indubbie qualità umane, e ci sono anche simpatiche, ma i loro discorsi di insediamento sono stati altrettanto indubbiamente di corto respiro, dato che da essi non traspare nessuna prospettiva ideale, nessun orizzonte che vada al di là della politica stessa, nessuna esperienza vitale. Se Bertinotti dedica la sua elezione alle operaie e agli operai, dimenticando forse tutti gli altri (ma è tipico del sindacato difendere solo alcune categorie, magari già tutelate, e dimenticare per esempio i disoccupati?), da Marini, in quanto leader di origine cattolica, ci saremmo aspettati qualcosa di meglio che la scontata offerta del dialogo con l'opposizione, o un pur apprezzabile ma politicistico e quasi burocratico appello al bipolarismo e alla sussidiarietà verticale (concetto ambiguo e forse coniato apposta per svuotare la vera sussidiarietà): per esempio un richiamo al valore della religione nella vita pubblica, alla tutela della famiglia, alla libertà culturale. Invece niente.
Detto questo, il dato eclatante è la provenienza dal sindacato dei due neopresidenti: la circostanza non è affatto isolata, basti pensare ai casi recenti di Cofferati, D'Antoni, Benvenuto, anch'essi approdati alla politica, ma la medesima realtà si riproduce in molti ambiti, dai consigli comunali in su, nei quali sono numerosi i sindacalisti ed ex sindacalisti che assumono cariche politiche ed istituzionali.
Il dato è tanto evidente che non può essere casuale, e anzi pensiamo che debba essere considerato seriamente in quanto sintomo di una realtà più profonda, non sappiamo se in tutto positiva. Dando per assodato che la situazione documenta di per sé una confusione di ruoli fra sindacato e politica, proviamo a svolgere un paio di osservazioni in merito.
Anzitutto, si deve constatare che l'ascesa politica di sindacalisti si verifica contemporaneamente all'ascesa politica di un grande imprenditore come Berlusconi: dal che si potrebbe forse dedurre che la politica subisce la tendenza di autoridursi ad una sorta di competizione settoriale fra datori di lavoro e dipendenti, di riprodurre la dinamica della vertenza se non dello scontro sindacale. Del resto, è noto che la base elettorale di Forza Italia è il cosiddetto popolo delle partite Iva, etc. Aggiungiamo che anche la prima carica della Repubblica documenta la medesima tendenza, visto che Ciampi è stato diciamo un tecnico dell'economia.
L'altra considerazione riguarda la causa di una tale dialettica politica fra sindacalisti e imprenditori. Se si conosce un po' la dinamica dei partiti al livello della base, si vede chiaramente che il sindacato ormai è l'unica scuola di politica rimasta, nel senso che è l'unica che prepara a studiare e capire le leggi, a fare trattative, a parlare con la più svariate categorie sociali, a rappresentare e difendere interessi concreti: tutte attività che ormai la politica in quanto tale, ovvero i partiti, non riescono più a fare, o non vogliono più fare. Questo potrebbe spiegare perché ormai ai piani alti della politica, in Italia, sono rimasti poco più che sindacalisti e imprenditori, cioè gli attori di interessi puramente economici (oppure politici strettamente, e magari per via familiare, collegati ad interessi economici). Insomma si tratta di fenomeni diversi ma riconducibili ad una medesima radice, che si può definire come la riduzione della politica alla gestione dell'economia.
Il fenomeno, se di questo si trattasse, sarebbe da correggere, perché certamente funzione della politica è costruire il quadro di leggi e garanzie che permettono di esercitare la libertà economica; ma ancora prima lo scopo della politica è garantire la libertà culturale e religiosa, che è la prima e fondamentale libertà, perché solo la cultura e un'esperienza religiosa permettono alle persone concrete di comprendere e realizzare se stesse, ovvero, come diceva Platone, di affrontare il mare della vita non su una zattera, ma su una nave comoda e sicura. La correzione, da parte della politica, potrà avvenire - imparando anche la lezione del sindacato - riprendendo a fondare di nuovo delle scuole di politica, con l'impegno e la dedizione del maggior numero di persone possibile, e in particolare ricominciando a investire sui giovani. Forse anche la Chiesa locale deve svolgere la propria parte: si inizi finalmente a parlare di dottrina sociale sul territorio, in modo serio e organizzato. Di tutto questo, ci sembra che qualche segnale cominci a intravedersi.

Andrea Poli

L'intervento: Una riflessione sui cattolici impegnati in politica

L'attività legislativa presuppone valori, finalità da realizzare, cioè un'etica; questi valori, queste finalità, questa etica, si fondano su un'antropologia, su come è strutturata la persona umana, come è fatta, che cosa la realizza e così via; l'antropologia a sua volta implica una concezione della totalità della realtà, un ontologia metafisica, in altri termini, l'interrogativo su che cos'è l'uomo, la persona umana, presuppone la domanda di quale sia l'origine, il fondamento dell'essere umano, e quindi che cosa sia l''essere', che è presente in tutti gli enti, in tutte le cose e strutturato in modo diverso (secondo una certa natura o essenza) in ognuna di esse. L''essere' si presenta nelle cose con un grado maggiore o minore di perfezione (una roccia è meno perfetta di una pianta, ha meno funzioni di una pianta, mentre un uomo è più perfetto di un animale in quanto ha in più rispetto ad esso l'intelletto autocosciente), se ne deriva che vi è un Ente in cui l'essere si presenta in grado perfettissimo, Dio o, come San Tommaso d'Aquino lo chiama, lo nomina il “Qui est” (Summa theologiae, pars I, q.13, a.11) o anche l'“Ipsum Esse per Se Subsistens” (Summa theologiae, pars I, q.4, a.2). Questo Ente, questo Essere perfettissimo è poi 'ritenuto' o 'creduto' corrispondere al Dio della Rivelazione biblica ebraico-cristiana che si incarnato in Maria Vergine, Gesù Cristo, che ha fondato sugli Apostoli la Chiesa Cattolica. I Vescovi uniti al Sommo Pontefice, al Papa, Vicario di Cristo in terra, sono i successori degli Apostoli che con il loro Magistero, il loro insegnamento, guidano i fedeli cattolici.
Pertanto, l'attività politica, legislativa dei cattolici, deve superare l'idea di una dimensione privata della fede, cui li ha relegati una concezione laicista che deriva dal razionalismo cartesiano e spinoziano del XVII secolo e continua nell'illumininismo roussiano e kantiana XVIII secolo fino all'esperienze politiche delle Repubbliche giacobine, gli Stati napoleonici del XIX secolo e gli Stati del dopo Restaurazione del Risorgimento europeo massonico ottocentesco, degli Stati liberali e di quelli totalitari del XX secolo e quelli neo-liberali tra XX e XXI secoli, tutti più o meno ostili alla presenza e manifestazione pubblica della Fede Cattolica; inoltre l'attività politica del cattolico non può non far riferimenti all'Insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, al Magistero del Pontefice e dei Vescovi della Chiesa Cattolica, se vuole avere esiti 'positivi' radicati nella tradizione cattolica.
I cattolici impegnati in politica (cioè, in quegli ambito in cui si stabiliscono leggi che regolano, orientano le persone, si auspica, verso determinate finalità che hanno in definitiva lo sfondo del loro bene, della loro felicità) devono, pertanto, come gli altri politici, legiferare per il bene comune, per il bene e la felicità di tutti. Ma, secondo la Costituzione Pastorale su “Chiesa e mondo contemporaneo” (Gaudium et Spes, n.74) del Concilio Vaticano II, il bene comune, il bene di tutti comprende non solo i beni materiali, economici, ma anche il fine spirituale dell'uomo (Cfr. Paolo VI, Octogesima adveniens, n.46, (1971)). Tutto ciò, ci sembra di poter affermare, implichi che promuovere il vero bene tutti, più in profondità implichi, che il cattolico in politica debba favorire la conoscenza e la fruizione del 'fine spirituale', cioè di Dio che l'incorporeo e lo spirituale per antonomasia Bene, ed è la vera ed unica realizzazione dell'uomo (Cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, q.3 a.8). Insomma, in ultima analisi, seguendo il testo pontificio, devono proporre leggi finalizzate in ultima analisi all'incontro con la Persona di Gesù Cristo attraverso i sacramenti della Chiesa Cattolica.
In definitiva, anche il politico cattolico, nonostante la sua condizione di laico 'tollerante' e 'pluralista', deve essere in qualche modo un evangelizzatore; certo, non un fanatico fondamentalista e integralista all''islamica', ma una persona che propone e discute con i non cattolici, in modo dialettico zenoniano-aristotelico 'confutatori' democratico, e non impone con la forza, con la violenza (come purtroppo spesso avviene nei paesi islamici) leggi che orientino la comunità degli esseri umani verso il loro fine ultimo che la conoscenza di Dio mediante Gesù Cristo. Tutto questo perché il cattolico è convinto che il Bene, la realizzazione di ogni persona consiste nel conoscere e amare Gesù Cristo, il Bene Supremo.
La dimensione laica, non confessionale dello stato in cui vi è una sana laicità pluralista, per cui vi è, non solo un pluralismo gnoseologico, conoscitiva della realtà, ma anche un pluralismo religioso e morale: punti di vista diversi sulla natura della Divinità e del Bene in sé in discussione dialettica aristotelica tra loro, non implica il relativismo per cui tutte le proposizioni sono vere, tutte l'idea di Dio sono valide, lecite, tutti i valori sono buoni. Quindi, anche il cattolico impegnato nell'attività politica porta avanti anche lui Vanno in questa direzione di evangelizzazione 'democratica': il riabilitare i crocifissi nei locali pubblici (scuole, uffici e in altri ambienti privati e pubblici); restauraSi tratta quindi per il cattolico impegnato in politica di portare avanti iniziative che siano segni, simboli che conducano alla conoscenza Dio mediante Gesù Cristo.

Niccolò Turi