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IL GIGLIO BIANCO

Giornale Settimanale del PTE

Anno II, n.18 – III Settimana di Febbraio 2013

IL MISTERO DEL FARE UMANO E DELLE OPERE DI DIO

In un mondo contemporaneo entro cui tutto sembra funzionare come un grande orologio cartesiano, la cui chiave sembra saldamente nelle mani di potentissimi Presidenti planetari e pochi ma lucidi gnomi della finanza più iperbolica, la storia subisce come un clamoroso stop e, per dirla con la metafora precedente, l'orologio dei tempi nuovi si ferma.

C'è voluto l'umile ed altissimo gesto di un Pontefice, in un Millennio sempre più presuntuoso, per richiamare tutti gli uomini alla loro vera e giusta dimensione.

Nella sofferta decisione di Papa Benedetto XVI è possibile evidenziare un autentico “sottosopra”, un cosciente e provocatorio ribaltamento delle correnti categorie antropologiche e storiche. In altre parole, si è trattato di un vero e proprio ristabilimento della gerarchia che regola il regno cosmico.

Per capire questa autentica “rivoluzione” (che, etimologicamente, significa ritornare al punto d'origine ovvero di partenza), come spesso è auspicabile, è bene tornare ad essere nani sulle spalle dei giganti ed affidarci alle grandi menti del passato. Tra queste spicca quella di Giovanbattista Vico, troppo spesso confinato nell'angusta dimensione dei “corsi e ricorsi storici”, ma in realtà capace di intuizioni filosofiche e teologiche di proporzioni assolute. E' il caso del passo seguente, a dir poco illuminante in relazione al cruciale tema del momento.

In tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità – scrive Vico ne La Scienza nova - apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i princìpi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. Lo che, a chiunque vi rifletta, dee recar maraviglia come tutti i filosofi seriosamente si studiarono di conseguire la scienza di questo mondo naturale, del quale, perché Iddio egli fece, esso solo ne ha la scienza; e trascurarono di meditare su questo mondo delle nazioni, o sia mondo civile, del quale, perché l’avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza gli uomini. [...]”.

Per Vico esiste dunque una verità inscritta nel profondo dello spazio terreno e del tempo, che nessuma mente lucida può cancellare: l'opera, ogni opera che si sviluppa entro le trame della storia è sicuramente frutto del fare umano, ma non troverebbe senso alcuno se non tenesse conto del fare divino ovvero della Provvidenza.

L'uomo di ogni tempo è dunque il crocevia di questa bi-univoca operosità che intreccia la terra ed il cielo. Misurare accadimenti e scelte umane, anche dei personaggi più potenti della storia, con il metro della totale autosufficienza antropologica, della ragione pura e della mera logica positivistica è sinonimo di miopia,presunzione, assurda auto-referenzialità.

Papa Benedetto XVI, uomo integrale,pastore e finissimo teologo, questa lezione agostiniana concernente l'indissolubile legame tra storia terrena ed il nuovo tempo della “Gerusalemme celeste” l'ha interiormente compresa da tempo. “Del mondo ch'egli fece – come dice Vico – esso solo (Dio) ne ha scienza”.

Per chiarire questo ci vengono in aiuto le stesse parole scritte da Giovanni Papini nella sue celebri Lettere agli uomini di Papa Celestino VI, in cui il Pontefice si rivolge così al popolo cristiano:”Ed anch'io debbo chiedervi, con umiltà verace, perdono. So d'essere vostro capo e non ignoro la sovrumana altezza della mia dignità. Ma sono stato anch'io,se non proprio servo disutile, servo tardo e timido dei disegni dell'Altissimo. S'Egli mi ha posto quassù in tempi così uraganosi per l'uomo e per la Cristianità, è segno che da me attendeva più che da tutti gli altri”.

Grazie, Santo Padre Benedetto XVI, per questa straordinaria lezione di grandezza ed umiltà. Grazie ancora, riprendendo la firma finale che Celestino VI apponeva alla sue lettere, per sentirsi e soprattutto essere “servo dei servi di Dio “.

FRANCO BANCHI