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IL GIGLIO BIANCO

Giornale Settimanale del PTE

Anno I, n.12 – I Settimana di Dicembre 2012

TRA IL “FU PCI” E LA DC CHE SARA'

Miracoli e mirabilie della storia italiana: il “fu PCI” che da grande facitore di novità solca ancora il periglioso mare della politica italiana; la DC, vera artefice della storia nazionale contemporanea, relegata per il momento nel comparto delle gloriose memorie.

Ma non basta. Quella che era la vera forza intrinseca della miglior Democrazia Cristiana, l'inclusività nel rispetto del pluralismo, sembra ormai essere appannaggio esclusivo dell'attuale Partito Democratico. L'intelligente abilità, ideale prima ancora che pragmatica, che fu prerogativa del partito scudo-crociato, di dar vita al proprio interno ad un “parlamentino” esaustivo dell'intero panorama culturale, economico e socio-politico del Paese (con una destra, un centro ed una sinistra), ora sembra albergare altrove, proprio dall'altra parte del fiume.

Come si spiegherebbe in altro modo la crescente messe di potenziali consensi registrati dai sondaggi per il PD? Riuscire a rappresentare (in modo vero o presunto poco importa) un arco che, partendo da posizioni tipiche del social-comunismo conservatore (leggi CGIL), arriva alle soglie del cripto liberismo è operazione da veri e propri equilibristi, a cui non difetta certo la scaltrezza e, comunque, una buona abilità di fondo.

Neppure questo però può, da solo, spiegare compiutamente tale fenomeno di riposizionamento politico degli elettori.

A mio parere questa palese anomalia dello e nello scenario italiano è dovuta almeno ad altri tre fattori concomitanti.

Primo: la mancata organizzazione del polo di centro-destra intorno all'idea-forza del Partito Popolare Europeo, l'unica che eviterebbe la radicalizzazione sulle ali estreme di quest'area. Il collante del PPE si configura come unico catalizzatore capace di sviluppare un progetto politico che rifugga dagli eccessi di un liberalismo laico e di un liberismo senza socialità da un lato, di una visione conservatrice, nostalgica e nazional-popolare dall'altra.

Secondo: la scelta ondivaga e fondamentalmente presuntuosa portata avanti in questi ultimi anni da Pier Ferdinando Casini. Partito, alcuni anni fa, per fare del centro equidistante un polo in proprio, autorevole e numericamente ascendente, si ritrova con percentuali che fanno appena pari con quelle della sola UDC nel suo periodo aureo. Addirittura con pezzi e spezzoni di possibili alleati ridotti a meri ectoplasmi. Infine, sta crescendo intorno a lui un pericoloso concorrente, che rischia di bruciarlo proprio sul filo di lana: Montezemolo. Morale: per non scegliere la parte fisiologicamente giusta, quella che l'avrebbe portato entro un'alleanza europea targata PPE (con un Berlusconi in fase calante), ora rischia, anzi qualcosa di più, di essere acquisito a buon prezzo con i saldi di fine stagione dalla squadra di Bersani.

Terzo: il riuscito doppio-giochismo di Bersani nei confronti del Governo Monti. Alla sua sinistra il Segretario PD “narra” la vulgata di un sacrificio, duro ma necessario, rivelatosi utile per sfrattare definitivamente Berlusconi da Palazzo Chigi; alla sua destra recita il copione, da leader maturo, responsabile ed europeo, di una politica di rigore come propedeutica per lo sviluppo del futuro governo a guida di una sinistra ormai liberal -democratica.

In tutto questo il PDL è caduto in una e più trappole. E l'estrema difficoltà in cui oggi versa nasce proprio da un difetto di iniziativa, coraggio e progettualità.In altre parole dall'assenza di quelle prerogative che appartengono ad un “grande partito” per qualità e non ad un partito solo numericamente tale.

E non ci sembra un sogno, entro questo contesto quasi prossimo al “rompete le righe”, riparlare di Democrazia Cristiana, che, solo poche settimane fa, ha ripreso il proprio corso dopo venti anni di interruzione.

Se è vero che niente torna com'era, a maggior ragione in politica, è altrettanto vero che il vuoto lasciato dalla Democrazia Cristiana non è mai stato ancora riempito. Per questo, senza farci vincere dalla nostalgia, ma proiettandoci integralmente nel futuro, non siamo disposti ad accettare che l'Italia sia governata dal “fu PCI”. Preferiamo, tutta la vita, pensare e lavorare per la DC che sarà.

FRANCO BANCHI